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Vecchio 10-04-2005, 14.21.29   #1
odisseo
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Handicap e Arti Marziali, all'apparenza sono l'uno l'antitesi delle altre.
Siamo tutti soliti immaginare un artista marziale come un giovanottone pieno di muscoli, agile, scattante, nel pieno della sua giovinezza, forte, sicuro di sè, anche un pò sbruffone (perchè nò ?)

Niente a che vedere con le minorazioni fisiche e psichiche o, con la semplice vecchiaia che, spesso porta con sè ogni genere di problema fisico e psichico.

Eppure, il dogma alla base delle Arti Marziali è che sono per tutti.
Tutti le possono praticare, tutti ne possono trarre vantaggio.
Forza, velocità e giovinezza non contano.

Il paradosso si chiarisce quando pensiamo a come vengono insegnate normalmente le arti marziali.
L'insegnamento è standardizzato, molte immagini, anzi, l'insegnamento è quasi completamente visivo e poco o nulla parlato.
Vengono privilegiate la forza e l'agilità, a scapito della tecnica e della conoscenza.
In pratica si preparano gli eventi agonistici, le gare, quelle cose che possono fare da vetrina per la palestra o la scuola e, fornire un ritorno pubblicitario.

Grave errore.

Sopratutto per le Arti Marziali cosi dette "interne".

Chiariamo subito, non stò parlando di Ki o Chi o altre fantomatiche energie interne.
Nò.
Stò parlando di Arti Marziali in cui il lavoro fisico è molto poco appariscente,

Ciò non significa che il lavoro fisico non ci sia, anzi.......

Vi stò parlando del Tai chi.

Negli ultimi 20 - 30 anni, questa disciplina ha conosciuto una diffusione enorme, spesso a scapito della qualità dell'insegnamento.
Moltissimi "maestri" ormai insegnano solo ed esclusivamente per portare gli allievi in gara.
Questo comporta l'estremizzazione dei movimenti per spuntare qualche punto in più e arrivare in zona medaglie.
Una conseguenza di questo modo di fare è l'epidemia di problemi alle ginocchia di cui sembrano soffrire buona parte dei praticanti questa disciplina.
Un'altra conseguenza è la selezione dei praticanti.
Sopravvivono quasi esclusivamente quelli più dotati per le gare
Il lato marziale poi, viene raramente insegnato, nonostante sia di una efficacia spaventosa (o forse proprio per questo).

Questo è un peccato.

Il Tai Chi consente di raggiungere una profonda consapevolezza del proprio corpo, non richiede preparazione o allenamenti preventivi, inoltre, la pratica regolare, porta molteplici vantaggi quali stabilizzazione della pressione ematica, capacità di concentrazione, rafforzamento della muscolatura, migliora l'equilibrio e la propriocezione, costringe a una continua interazione con l'ambiente esterno (quanto mai utile nei soggetti autistici e psicotici che hanno con la realtà, un contatto limitato o caotico) etc etc...

Il problema spesso si localizza a livello di insegnante.

Infatti, nel caso di un allievo con handicap, all'insegnante viene richiesto uno sforzo nettamente superiore a quello che occorre per gestire allievi normodotati.

Per esempio, nel caso di un allievo non-vedente, l'insegnante non può limitarsi a far vedere il movimento.
Deve descriverlo nei più minuti particolari, più e più volte.
Deve farsi toccare dall'allievo per consentirgli di seguire in maniera tattile l'evolversi della forma (Kata).
Deve dedicare molta più attenzione all'allievo e correggerlo più spesso rispetto agli altri allievi.
Spesso deve fare in modo di affiancare altri allievi vedenti all'allievo non-vedente per consentirgli di avere più esempi a cui attingere.

Nel caso di allievi con handicap psicologici o psichiatrici, l'insegnante dovrà fare molti sforzi per far uscire l'allievo dal suo guscio e, farlo interagire in maniera continua e corretta con gli altri allievi del gruppo.

Insomma, l'insegnante deve lavorare molto di più e, purtroppo è abbastanza raro trovare insegnanti che coniughino le conoscenze necessarie per insegnare quest'arte in maniera appropriata ad un allievo disabile e la pazienza/impegno che occorre.

Odisseo
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