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Flatlandia, Racconto fantastico a più dimensioni
 Flatlandia, Racconto fantastico a più dimensioni
 - jezebelius -

Inviato da  jezebelius
  14-02-2009
Predefinito Paura dell'ignoto


“ Un orrore indicibile s’impossessò di me. Dapprima l’oscurità poi una visione annebbiata, stomachevole, che non era vedere; vedevo una linea che non era una Linea; uno Spazio che non era uno Spazio: io ero io e non ero io. Quando ritrovai la voce, mandai un alto grido d’angoscia: “Questa è la follia o l’Inferno!”. “Nessuno dei due” rispose calma la voce della Sfera. «Questo è il Sapere; sono le Tre Dimensioni: riapri l’occhio e cerca di guardare per un po’.

Da questo momento in poi però le cose gli appaiono strane. Inebriato da quella esperienza il Quadrato, entrato in quella nuova realtà è ansioso di scoprire altro. Uno Spazio a Cinque o più dimensioni.
La Sfera, disturbata gli dice: <<un paese simile non esiste. La sola idea che possa esistere è assolutamente inconcepibile>>.
Per questo lo ricaccia nuovamente entro gli “ stretti “ confini di Flatlandia.
Ma il Quadrato non si perde d’animo. Forte di quella esperienza vuole trasmettere ad altri, ciò che “ ha vissuto”.
Comincia ad andare in giro proclamando la “ Dottrina delle tre dimensioni”. Ma questo suo agire, però, gli si ritorce contro. Non soltanto, adesso per lui è difficile ricordare quell’esperienza ma per evitare ulteriori comportamenti di questo tipo agli abitanti, credendolo pazzo, viene rinchiuso da una specie di tribunale dell’Inquisizione, in una sorta di manicomio.
Una volta l’anno il Cerchio, Sommo Sacerdote di Flatlandia, gli fa visita per chiedergli se si sente meglio. Puntualmente però il Quadrato non può fare a meno di cercare di convincerlo che esiste una realtà a Tre dimensioni.
Per questo il Cerchio scuote la testa e lo lascia in cella!

Gia questa visione e la lettura di poche righe può servire ad introdurre un concetto.
La percezione che c’è, esiste e che ad ognuno manca, è quella di una realtà relativa e non assoluta. Ciò ci consente di poter dire che siamo talmente lontani dal “ reale” che non ce ne accorgiamo, non ce ne rendiamo conto. Siamo ottusi da quella che definiamo percezione del reale, senza capire che è soltanto una rappresentazione, una dimostrazione necessaria, come ad esempio un corpo benché valutato in tutte le sue funzioni.
Riuscire a vivere con la capacità relativa e non attribuire, invece, a questa valore assoluto ancorché soggettivo, potrebbe esserci d’aiuto e, per altro, potrebbe rappresentare la base per una futura unione, sia con noi stessi ma anche con gli altri; base per almeno riconoscere che ciò che per noi è in un modo, per altri è opposto ma che, in fondo, tutti possono prendere tutto da tutti nello scambio e nel confronto reciproco.
Senza questa capacità fondamentale ci confineremmo da soli nel pattume dove la nostra stessa ristrettezza mentale ci ha confinato, ci confina e – spero di no ma non nego di nutrire dubbi – ci confinerà, fornendoci, a sua volta, la " certezza".
Ormai abituati, come siamo, ai nostri schemi psicologici e quotidiani, senza affrontare i contrasti che potrebbero, se valutati da una certa prospettiva, aiutarci a comprendere l’ambiente circostante ma anche noi stessi, non saremo disposti ad azionare quel piccolo meccanismo che si concreta nello sforzo, per uscire da quella condizione piatta dove la ribellione avviene, sovente, quando un solo elemento, per come lo conosciamo, viene minato – e per conseguenza mina - nella sua parte più profonda: noi stessi!
Chiudersi, cercando di “ proteggere” i dati, di cui siamo in possesso, a tutti i livelli o quantomeno quelli che conosciamo per “ nostri” ed ai quali attribuiamo un valore ed una certezza assoluta, non fa altro che aumentare l’estensione del foglio sul quale camminiamo e viviamo come ombre e di cui non ci accorgiamo.
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