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Vecchio 19-04-2007, 07.16.35   #1
Ray
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Predefinito La trasformazione della sofferenza

"Tutti soffrono, con o senza scuola. Noi stiamo cercando di usare la nostra sofferenza, piuttosto che di esserne usati."
(Robert Burton - allievo di G.I.Gurdjieff)

Questa idea, espressa qui secondo la terminologia del sistema Gurdjieffiano, è in realtà presente in tutte le tradizioni, spesso anche nelle loro parti essoteriche anche se magari espresse in termini più facilmente equivocabili. Senza dilungarci in esempi sono sicuro che qualcuno troverà facilmente citazioni e soprattutto fatti nella tradizione religiosa occidentale (Stella ) anche se spesso sono poco compresi.

Noi veniamo usati dalla sofferenza perchè ci identifichiamo con essa e/o con le sue cause apparenti. In realtà chiamiamo sofferenza l'attrito prodotto dalle emozioni negative, o dalle emozioni che la nostra personalità considera negative. Questa identificazione ci porta ad indulgere in atteggiamenti "negativi" che concorrono al cristallizzarsi delle emozioni in stati d'animo. L'esempio più frequente è il risentimento nei confronti del provare dette emozioni.
Altro atteggiamento che ci rende schiavi delle emozioni negative è la loro espressione, quasi a volersi vendicare della loro apparente origine, che sia qualcuno o la stessa realtà (ambiente in cui siamo inseriti).
Tutti gli atteggiamenti correlati sono a mio avviso inseribili in questi due, dalla eccessiva indulgenza nei confronti di se stessi all'autocommiserazione... tutte situazioni che ci permettono di indulgere in stati emotivi quali rabbia, paura, risentimento ecc.ecc.

La maggior parte di questa sofferenza è inutile. Se io provo rabbia e assumo un atteggiamento non patetico (da patire, subire) so innanzitutto che finirà e inoltre so che posso provare ad usarla. Invece se mi arrabbio per il fatto di provare rabbia (verso me stesso,la persona o la cosa che percepisco come origine) non farò altro che ridondarla, alimentandola indefinitamente.

L'identificazione con le emozioni negative nutre l'Imporatnza Personale. Essa ingigantisce a dismisura l'importanza sia dell'emozione che della sofferenza che dell'origine di essa (fatto accaduto o quel che è) andando quindi, grazie a ciò, ad alimentare se stessa e a stare sempre in primo piano. La trasformazione della sofferenza parte dall'ignorare l'IP.

L'identificazione con le emozioni negative ha come risultato l'allontanarci dal presente e quindi da noi stessi, a favore di ciò che non siamo, i meccanismi di reazione della nostra personalità. La trasformazione della sofferenza implica un cercare di restare nel presente, li dove siamo noi, anche se nel presente c'è sofferenza. Questo sposta il discorso sull'accettazione, termine spesso usato e, quasi altrettanto spesso, usato a sproposito. Accettare è smettere di desiderare che finisca. E' facilissimo raccontarsela sull'accettazione.

Di solito, invece di accettare e quindi iniziare a trasformare la sofferenza (che trasformandosi diventa altro e quindi non più sofferenza) opponiamo ad essa resistenza, con il risultato di aumentare l'attrito e quindi la sofferenza stessa. Così facendo ci procuriamo una quantità enorme di sofferenza inutile, sia in termini di intensità che soprattutto di durata. C'è gente che soffre anni o una vita intera per qualcosa che sarebbe finito in pochi giorni e gente che è capace di restare arrabbiata per giorni per qualcosa di futile che sarebbe durato pochi secondi, come l'apprendere di aver preso una multa. Il considerare importante una cosa futile è tipico dell'IP...

La trasformazione della sofferenza crea vita, perchè la sofferenza è energia...
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Vecchio 19-04-2007, 10.36.37   #2
Lion
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Parole Sante Ray..!
Ma c'è sempre la faccenda che tra il dire ed il fare c'è di mezzo il mare..
Ma se chi ben inizia è già a metà dell'opera allora siamo a cavallo!
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Vecchio 20-04-2007, 10.58.16   #3
RedWitch
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Noi veniamo usati dalla sofferenza perchè ci identifichiamo con essa e/o con le sue cause apparenti. In realtà chiamiamo sofferenza l'attrito prodotto dalle emozioni negative, o dalle emozioni che la nostra personalità considera negative. Questa identificazione ci porta ad indulgere in atteggiamenti "negativi" che concorrono al cristallizzarsi delle emozioni in stati d'animo. L'esempio più frequente è il risentimento nei confronti del provare dette emozioni.
Tutti gli atteggiamenti correlati sono a mio avviso inseribili in questi due, dalla eccessiva indulgenza nei confronti di se stessi all'autocommiserazione... tutte situazioni che ci permettono di indulgere in stati emotivi quali rabbia, paura, risentimento ecc.ecc
Questo significherebbe, che le emozioni, di per sè, non sono nè positive, nè negative, ma siamo noi, che soggettivamente le viviamo come tali. L'attrito che si genera lo traduciamo come sofferenza, perchè fa stare male, scalda in qualche modo, e la prima reazione è quella di rifiutarlo (non voglio stare male, perchè sto male?perchè mi accade questo?), di scacciarlo, come hai scritto più avanti, vorremmo che finisse il prima possibile e cerchiamo di mandarlo via, ottenendo l'effetto opposto, perchè in quel modo, la sofferenza sommerge e si amplifica. E provo rabbia. Ma continuo a restare dentro alla situazione in cui mi trovo, continuo a soffrire,con rabbia, paura o quantaltro,continuo a restarci dentro, e più mi sommerge e più mi paralizzo.. e poi per rompere quelle cristallizzazioni, occorre un sacco di energia. Quindi ne sprechiamo il doppio alla fine..
Cosa si potrebbe fare quando mi trovo in una situazione per la quale soffro?

Citazione:
La maggior parte di questa sofferenza è inutile. Se io provo rabbia e assumo un atteggiamento non patetico (da patire, subire) so innanzitutto che finirà e inoltre so che posso provare ad usarla. Invece se mi arrabbio per il fatto di provare rabbia (verso me stesso,la persona o la cosa che percepisco come origine) non farò altro che ridondarla, alimentandola indefinitamente.
Dopo il primo momento di sbandamento, invece che continuare a piangermi addosso e a ritenermi tanto sfortunata , provo come hai detto ad usare la sofferenza. Ad usarla come spinta per saltare fuori dal fosso.. E' difficile descrivere a parole cosa significa usare la sofferenza .. la descriverei come un agire facendo forza sulla sofferenza (rabbia, paura etc) che sto provando, usarla come un surplus di energie che in quel momento ho a disposizione, dirigerla verso l'obiettivo "saltare fuori dal fosso", piuttosto che perdere tempo a provare sentimenti negativi verso altri, me stessa etc, che invece che aiutarmi, alimenterebbero la sofferenza , ingigantendola.

Citazione:
L'identificazione con le emozioni negative nutre l'Imporatnza Personale. Essa ingigantisce a dismisura l'importanza sia dell'emozione che della sofferenza che dell'origine di essa (fatto accaduto o quel che è) andando quindi, grazie a ciò, ad alimentare se stessa e a stare sempre in primo piano. La trasformazione della sofferenza parte dall'ignorare l'IP.

L'identificazione con le emozioni negative ha come risultato l'allontanarci dal presente e quindi da noi stessi, a favore di ciò che non siamo, i meccanismi di reazione della nostra personalità. La trasformazione della sofferenza implica un cercare di restare nel presente, li dove siamo noi, anche se nel presente c'è sofferenza. Questo sposta il discorso sull'accettazione, termine spesso usato e, quasi altrettanto spesso, usato a sproposito. Accettare è smettere di desiderare che finisca. E' facilissimo raccontarsela sull'accettazione.
Accettare, dal mio punto di vista significa, accogliere ciò che mi fa soffrire, che genera l'attrito e mi fa soffrire, prendere atto che c'è esiste, e che anche se lo rifiuto non sparirà. E che dal momento in cui ne prendo atto, dovrò lavorare per modificare qualcosa in me, anche se l'evento apparentemente è esterno, il problema è in me.. Accettare davvero è la cosa più difficile da fare molto spesso, ma è anche la prima.. la più "importante". Una volta fatto questo ci si puo' muovere...

Citazione:
............
La trasformazione della sofferenza crea vita, perchè la sofferenza è energia...
E quando impari a trasformare la "tua" sofferenza in altro cominci a vivere .. sì.. sono d'accordo


ps: non so se è il posto giusto, ma già che ci siamo, si potrebbe vedere anche la differenza tra dolore e sofferenza?

Ultima modifica di RedWitch : 20-04-2007 alle ore 11.01.10. Motivo: aggiunta del ps
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Vecchio 20-04-2007, 12.40.06   #4
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Vero... condivido...la trasformazione della sofferenza parte dall'ignorare l'IP.
Noi veniamo usati dalla sofferenza perchè ci identifichiamo con essa e con le sue cause apparenti.

Provo a fare alcuni esempi... magari da questi posso prendere spunto rispetto un tema molto poco valutato ma di grande ImPortanza...

Rabbia: un classico... dell'ambiente lavorativo... un superiore ci riprende in malo modo sul nostro operato... offende la nostra IP... non reagiamo come vorremmo... da qui la rabbia.

Paura: la prima esperienza di paura potrebbe essere la cameretta buia in cui i rumori e le ombre diventano orchi e fantasmi... il tuono dopo il lampo del fulmine... ma anche l'abbandono di persone care... la perdita di "certezze"... che mantengono la IP formata e stabile.

Risentimento: quando crediamo di aver dato 100 e ci ritorna 5... un classico della IP... io ho fatto tutto per te e tu mi ricambi cosi'... i genitori sono i maggiori referenti... hahahaha

Le "analisi" sulla identificazione della sofferenza riescono bene quando osserviamo "gli altri"... infatti e' molto facile puntare il dito... salire in cattedra... ma e' molto difficile osservarsi...

Invece di iniziare a trasformare la sofferenza ci opponiamo ad essa alimentando la sofferenza stessa.

L'osservazione di noi stessi senza operare un "controllo" (leggasi= raccontarsela) permette poco alla volta la trasformazione della sofferenza in... vita.


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Vecchio 20-04-2007, 14.33.14   #5
Ray
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Provo a rispondere un po' a tutti, non so se sarò capace, al limite cercheremo di vedere un punto alla volta.

Poniamo che qualcuno si comporti con noi in modo tale da farci arrabbiare. Il controllo dell'emozione, che si conclude con la sua trasformazione, inizia ad emozione già manifestata e non può agire sul suo insorgere. Ovvero non possiamo impedire che la rabbia arrivi perchè è troppo veloce.

L'unico modo sarebbe andare a modificare preventivamente il meccanismo che la fa insorgere. I motivi per cui insorge, ovvero questi meccanismi, possono essere svariati (approfondiremo in seguito), ma alla fin fine sono riconducibili al fatto che ci siamo identificati in qualcosa, ovvero che ci siamo dimenticati di noi.

Noi possiamo invece iniziare a costruirci un controllo sulle emozioni dopo che l'emozione, in questo caso la rabbia, è già insorta e ce la troviamo li bella e pronta.
La prima reazione automatica alla presenza della rabbia è esprimerla. Lo facciamo con una velocità pazzesca (non si esprime solo a parole). Il che è un modo di cercare di sfuggirla, come dice RedW... esprimendola almeno in parte esce e ce ne liberiamo.
Quindi la prima cosa che posso fare è impedirmi di esprimere l'emozione o cercare di farlo. Il che mi darà dei risultati probabilmente parziali e proporzionali sia all'intensità dell'emozione che alla mia prontezza nell'impedire l'espressione. Via via che mi ci sforzo la parzialità di questi risultati diminuirà.

Se mi impedisco di esprimere la rabbia mi impedisco varie cose: l'espressione esterna verso l'oggetto della mia rabbia (il tizio) che sia a parole o atteggiamenti o quel che è, e l'espressione interna della rabbia con me stesso. Rimuginare è esprimere con se stessi. (si potrebbe chiamarlo imprimere o nutrire).

Il problema sta nel fatto che ci dimentichiamo. Anche se il meccanismo che fa insorgere la rabbia funziona, la rabbia che appunto insorge è una scarica di energia immediata che ha l'effetto di svegliarmi dal torpore (infatti potrebbe essere usata per ricordarci di noi). Questa energia è reale e può provocare reale sofferenza per attrito. Infatti questa energia è utile.
Se però io mi identifico nella rabbia inizio a nutrirla. Cioè la espando. Identificarsi è perdersi in qualcosa, smettere di essere ciò che si è, per essere per esempio ciò che si prova. Nutrire è espandere, tirare, allungare questa rabbia. Rimuginando, chiacchierandomi, giustificando me stesso, ripetendomi cose insensate come "sono stato trattato inadeguatamente" o "lui è sbagliato", spostando la responsabilità della mia reazione al di fuori di me, non faccio altro che aumentare indefinitamente questa rabbia. Ciò che sarebbe durato pochi secondi dura tutto il tempo che voglio.
Questa sofferenza è inutile perchè non posso usarla per svegliarmi o almeno per imparare qualcosa, anzi devo usare alta energia per tornare allo stato di quando ho iniziato a nutrirla o per smettere di nutrirla. Questa sofferenza sempicemente non esiste, è illusoria, o autoprovocata se preferite... in ogni caso è del tutto inutile: ho dato qualcosa in cambio di niente. Questa sofferenza va rifiutata con forza, è necessario impadire a noi stessi di produrla. Accettarl significherebbe accettare il permanere dei meccanismi da dormienti che la producono.

Alimentare in questo modo la rabbia prevede che io dia alla sua causa apparente un'importanza che essa non ha. Bon, tizio mi ha trattato male... e allora? Questa alterazione dei parametri nutre l'IP... da un certo punto di vista E' IP.

Se dallo stato di rabbia o in generale di sofferenza torno al presente, scopro che la sofferenza o scompare o si riduce considerevolmente. Se scompare bon, allora tutta la sofferenza che avevamo era finta. Se invece resta qualcosa, quella è sofferenza reale. Può anche essere una sofferenza intensa, se il motivo è valido (non certamente "Tizio mi ha trattato male" ma magari qualcos'altro si). In quest caso la sofferenza permane perchè nel mio presente c'è sofferenza. E' questa la sofferenza che va accettata e trasformata. Se c'è ed è reale allora la posso usare, quindi smetto di sperare che finisca. E non la esprimo, anzi me la tengo, e non cerco di reprimerla perchè non la sentirei. Se smetto di sperare che finisca perchè posso usarla... non è più negativa.
Le emozioni negative non esistono.

Trasformare la sofferenza significa usare l'energia che mi duole per fare qualcosa. La cosa migliore che posso farci è ricordarmi di me... ma a livello sperimentale anche pulire casa non è male...

(mi fermo qui per adesso, non so se ho risposto e come, intanto aspetto di sentire voi. Molte cose non credo si averle espresse correttamente... in grossa parte i miei limiti di comprensione e di espressione, in altra parte l'oggettiva difficoltà di utilizzare il linguaggio su questi argomenti).
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Vecchio 20-04-2007, 14.34.23   #6
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Scusate la lunghezza, mi sono reso conto adesso che ho postato. Difficilmente però avrei saputo fare meglio.
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Vecchio 20-04-2007, 15.25.59   #7
Grey Owl
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Come dire... la sofferenza e' il sassolino nella scarpa... finche' lo sento ad ogni passo mi ritorna il ricordo di questo sassolino... il toglierlo o il non sentirlo poco serve...
Anzi no... (ma quello che e' scritto e' scritto...hahahah) l'esempio del sassolino non calza bene...hehehe

La velocita' di reazione tizio->rabbia e' enormemente piu' veloce della ragione... la reazione istintiva di rabbia e' tale per cui non riusciamo a fermarla... la "vediamo" quando essa e' presente in noi... momentone per osservarci...

Per osservarci bisogna come prima cosa non cavalcarla... senno' ci porta dove vuole... non esprimerla per quello che e' possibile.

Poi analizzare/rivivere quel momento di rabbia come un fatto accaduto ad un altro... usare un metodo analitico e "distaccato" per quanto possibile... in aiuto puo' venire utile se non fondamentale parlarne con amici intenzionati a comprendere questi meccanismi.

Poi pulire casa perche' non fa' mai male...hahahaha

Ma una cosa non ho ben capito... la sofferenza che permane... quella che definisci come reale...quando sono nel mio presente e ce' questa sofferenza... parli di trasformare... come?

Usarla per pulire casa posso... ma e' la trasformazione che mi lascia dei dubbi?

Come usarla per ricordarmi di me?


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Vecchio 21-04-2007, 00.46.03   #8
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Vediamo... è estate e vado al mare, mi prendo una bella bruciatura e mi spello la schiena.
Poi, andando varie volte al mare, la mia pelle si abitua al sole, non si scotta più ma si abbronza dolcemente.
Chi è che mi ha fatto soffrire?
Il sole.
Chi è che mi permette di non soffrire più?
Sempre il sole.

Come si vede, il sole è al contempo la causa della mia sofferenza e anche il mezzo per non soffrire più.
Il mio corpo accettando il sole aumenta gradualmente la resistenza ad esso, fintantochè non gli farà più male. La sofferenza è distanza, diversità... Il corpo sa bene cosa deve fare, non rifiuta il sole, ma lo accetta e in breve sarà adeguato per sopportarlo.

Ma se a livello fisico questo processo avviene in maniera istintiva (ci si spella solo le prime volte poi basta...) a livello mentale o emotivo la cosa non è così automatica e c'è gente che continua a bruciarsi e "spellarsi" per la stessa situazione per una vita intera...

Per come la vedo io, la sofferenza esiste eccome, altro che storie (quella sarebbe chiusura)... non si può eliminare la sofferenza, quello che si può fare è aumentare il proprio grado di resistenza ad essa fino a che si può stare sotto il sole cocente senza nessuna paura.

PS: Resistere ad una cosa può vedersi come un'opporsi, ma invece è proprio il contrario. Quando resisto al veleno? Quando lo assumo in piccole dosi. Quando resisto al sole? Quando mi ci espongo diverse volte, ecc ecc..
Quindi resistenza intesa come accettazione, accoglimento.
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Vecchio 21-04-2007, 00.49.15   #9
Kael
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Se la sofferenza me la mangio ma poi la "vomito" ogni volta, non accettandola, il mio organismo non si abituerà mai ad essa...
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Vecchio 21-04-2007, 00.53.05   #10
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L'unico modo sarebbe andare a modificare preventivamente il meccanismo che la fa insorgere. I motivi per cui insorge, ovvero questi meccanismi, possono essere svariati (approfondiremo in seguito), ma alla fin fine sono riconducibili al fatto che ci siamo identificati in qualcosa, ovvero che ci siamo dimenticati di noi.

Noi possiamo invece iniziare a costruirci un controllo sulle emozioni dopo che l'emozione, in questo caso la rabbia, è già insorta e ce la troviamo li bella e pronta.
La prima reazione automatica alla presenza della rabbia è esprimerla. Lo facciamo con una velocità pazzesca (non si esprime solo a parole). Il che è un modo di cercare di sfuggirla, come dice RedW... esprimendola almeno in parte esce e ce ne liberiamo.
Quindi la prima cosa che posso fare è impedirmi di esprimere l'emozione o cercare di farlo. Il che mi darà dei risultati probabilmente parziali e proporzionali sia all'intensità dell'emozione che alla mia prontezza nell'impedire l'espressione. Via via che mi ci sforzo la parzialità di questi risultati diminuirà.
Mi par di capire che si propone una sorta di corazza, di armatura contro la manifestazione della parte più nera di noi, l'unica che ci permette di consocerci. Se da una parte posso condividere il discorso sull'osservare le emozioni prima dopo e durante.. dall'altra vedo il rischio di chiudersi in una ampolla di vetro e non uscirne: mi convinco che il mio meccanismo di rabbia violenta nasce da tale situazione e toh chiudo le valvole e finisce l'effetto. Ma così che ho conosciuto di me? A che prova mi sono sottoposto.Accettare vuol dire anche riconoscere. Se non riconosco il falso dal vero come faccio a dire: non soffro?
L'unica maniera è vivere pienamente le emozioni di qualsiasi natura siano, e piano paino che le lasciamo libere magari anche smettere di avere paura di provarle e sentirle. Mica dico di andare in giro a fare i matti... ma viverle dentro di se. Senza tecniche o metodi, solo vivere..

Concordo che soffri veramente mentre la rabbia si manifesta e ti opponi, frizioni, non reprimi, non chiudi, ti spalanchi e resisti, resisti fino dove puoi e riesci (tanto di più non vai) resisti finchè il calore genera la forza e il coraggio di muoverti schivando. Non vai contro nulla, non scappi, ma non ti lasci colpire.
Non si parla solo di rabbia chiaramente. Mi viene in mente un maestro a scuola che punisce un allievo perchè non ha saputo fare bene il suo dovere e gli dice: soffro più io di te nel punirti. Sarebbe facile lodare e fregarsene, ma punire significa mettersi in gioco e andare contro le aspettative dell'altro. E' strano che riusciamo a vedere questa sofferenza proiettata nell'altro e non riusciamo a farla muovere per noi stessi. Anche una mamma soffre quando non può dare al figlio la caramella perchè ad esempio il bambino ha il diabete... ma si ha bisogno di una scusa, di un motivo .. se si applica invece il buon senso.. si Soffre. In questo caso la sofferenza diventa sacra.

In pratica il non esprimere emozioni negative di cui si parla qui
non vuole dire repressione o frenare i pensieri ma non esprimendoli non gli si da forma ne sostanza e quindi forza, non li si alimenta.. ma se sorgono bisognerà pur conoscerli.
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Vecchio 21-04-2007, 06.48.11   #11
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Originalmente inviato da Kael Visualizza messaggio
Se la sofferenza me la mangio ma poi la "vomito" ogni volta, non accettandola, il mio organismo non si abituerà mai ad essa...
Se la sofferenza la vomito non l'ho mangiata, ma solo inghiottita senza accettarla.
La sofferenza esiste eccome (mai detto il contrario), sono le emozioni negative a non esistere... quel che le rende tali è il nostro atteggiamento verso di esse, il vomitarle appunto (che poi è un modo di esprimere).

Il problema principale è distinguere la sofferenza utile da quella inutile, autoprodotta dai nostri meccanismi disfunzionali.
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Vecchio 21-04-2007, 06.54.26   #12
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In pratica il non esprimere emozioni negative di cui si parla qui
non vuole dire repressione o frenare i pensieri ma non esprimendoli non gli si da forma ne sostanza e quindi forza, non li si alimenta.. ma se sorgono bisognerà pur conoscerli.
Infatti (più o meno). Quindi non si propone nessuna corazza. Non esprimere non vuol dire reprimere, tutto l'opposto. Infatti se ho qualcosa che devo impedirmi di esprimere la bene sentirò, se non la sento non ho nulla da frenare.

L'emozione sorge in noi, sale e noi la esprimiamo. Se invece, dopo che è salita, ci impediamo di espriemerla e la tratteniamo, siamo obbligati a stare nel presente un po' di più che se la lasciamo andare. E siamo anche meno automatici. A quel punto scopriamo delle cose interessanti... tra le quali iniziamo a distinguere la sofferenza vera da quella finta (che va rifiutata)... l'emozione nostra da quella che non è nostra...
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Vecchio 21-04-2007, 07.07.25   #13
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Predefinito il controllo

Dalle risposte mi sembra che sia utile spostare un attimo e cercare di chiarirci come possiamo il concetto di controllo, che troppo spesso è inteso scorrettamente come repressione e viene quindi inviso a favore di una pretesa "spontaneità", che non è altro che sottostare al dominio degli istinti.

Controllare (etimologicamente "rotolare insieme") è una collaborazione con gerarchia.
Io controllo il cavallo quando cavalco. Io stabilisco la direzione e lui corre. Per non cadere devo armonizzarmi con lui e fare anche io fatica. Non devo entrare a cercare di interferire con le attività che gli sono proprie (fuor di metafora errato utilizzo dei centri) ovvero non devo stargli a dire dove e come mettere le zampe ecc.
Ma non devo neanche permettere che lui scelga la direzione, che faccia troppe bizze o che si imbizzarrisca.
Devo però tenere conto delle sue necessità, come bere mangiare e riposarsi. Se non ne tengo conto non posso dire che sto collaborando. Ma se lo lascio fare mangerà troppo e si riposerà troppo a lungo ecc. ecc., col risultato che non si sta andando dove IO ho deciso che andiamo.
Collaboriamo ma io ho il dominio... che è comunque relativo perchè devo riconoscere il suo ambito.

Il cavallo chiuso in stalla è repressione... mi volto di la e non lo sento, ma lui scalpita e prima o poi spacca la porta ed esce (attacco di panico et similia) oppure muore (e io con lui o scissione della psiche ecc.).
In ogni caso, col cavallo chiuso in gabbia non vado da nessuna parte.

Il cavallo a briglia sciolta è la libera, automatica, spontanea e meccanica espressione senza alcun tentativo di freno. Non vado da nessuna parte e sporco tutto attorno.

L'unico modo di andare, fuori di metafora l'essere vivi (presenti) è cavalcare. Si inzia dal piccolo passo per poter poi galoppare (se galoppo subito cado, ma qualcuno impara così). Si tratta di montare in groppa e fare fatica...

Ultima modifica di Ray : 21-04-2007 alle ore 07.11.45.
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Vecchio 21-04-2007, 10.54.51   #14
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L'emozione sorge in noi, sale e noi la esprimiamo. Se invece, dopo che è salita, ci impediamo di espriemerla e la tratteniamo, siamo obbligati a stare nel presente un po' di più che se la lasciamo andare. E siamo anche meno automatici. A quel punto scopriamo delle cose interessanti... tra le quali iniziamo a distinguere la sofferenza vera da quella finta (che va rifiutata)... l'emozione nostra da quella che non è nostra...
Quindi, il trattenere un momento in più l'emozione, il non lasciarla andare immediatamente appena sorge , ci permette di osservarla, di conoscerci un po' di più e di utilizzare l'energia che ne ricaviamo in maniera diversa da quella automatica..
Trattenere osservando..
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Vecchio 23-04-2007, 21.50.25   #15
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Ho riletto il tutto e mi rendo conto che è complicato. Quindi propongo di provare ad aggiungere qualche pezzo per vedere se si incastra meglio, magari soffermandoci su questioni che sono scivolate via troppo rapidamente.

Si parla di osservare le emozioni. Effettivamente è l'unico modo per sviluppare in seguito un controllo. Solo che per osservare qualcosa devo non essere quel qualcosa, ma semmai averlo. Se "sono arrabbiato" non vedrò la rabbia, se "ho della rabbia" (la sento)potrò vederla. Tra i due stati c'è un'enorme differenza.

L'emozione non gestita (come altre manifestazioni interiori come il chiacchericcio mentale) si comporta come un gas... ovvero tende ad espandersi, ad occupare tutto lo spazio disponibile. Nel farlo, nel dilatarsi, riduce la sua densità, dandoci un minimo di sollievo... sollievo che paghiamo con l'identificazione.
Quando la rabbia sorge, se non trova freni, essa "sale" e si espande fino ad occuparci tutti e da emozoine diventa stato d'animo... da "ho rabbia" passiamo in un lampo a "sono arrabbiato". Se, a questo punto, continua a non trovare freni, inizia ad uscire tramite espressione. Nel meccanico la cosa è un tutt'uno... in un attimo si passa dalla rabbia che sorge a io che reagisco esprimendola.

Per poter osservare la rabbia devo mettermi in un punto di osservazione in cui la rabbia non c'è... mi serve uno spazio, anche minimo, "vuoto di rabbia". La rabbia non deve occupare tutto lo spazio "me stesso". Questo spazio può essere anche interno (dico così perchè spesso si sente dire "entrare nell'emozione").

Tento un esempio. Pensiamo di essere una bottiglia senza tappo. Diciamo una bottiglia verde di quelle di vino e diciamo che lo stato neutro è bottiglia vuota. Quando la rabbia sorge è come una piccola bottiglia rossa che nasce all'interno di quella verde. E subito inizia a crescere di dimensioni fino ad occupare tutta la verde. Quando l'ha occupata tutta (dato che è come un gas ma con una forma) esce dal di sopra.

La prima cosa che possiamo fare è mettere un tappo (non esprimere). Solo che se la bottiglia rossa continua ad occupare tutta la verde noi (che siamo la verde) non osserviamo nulla. Ci serve che sia un minimo più piccola (o noi un minimo più grandi) per vederla. Ci serve uno spazio di "aria" in cui la rabbia non c'è. A quel punto possiamo dire che c'è un "noi" (una parte di noi) che non è rabbia... ovvero abbiamo della rabbia.

Se noi siamo in quel punto d'osservazione siamo in quella condizione per la quale sentiamo rabbia ma non lo siamo, non ci siamo identificati.

Questo spazio d'aria, come accennavo, può anche essere interno alla rossa... infatti se pensiamo un attimo vediamo che una cosa è frenare l'espansione della rossa... altra cosa è comprimerla dopo espansa, che è si un renderla più piccola di dimensioni, ma anche un aumentarne la densità e quindi la temperatura (e si rischia la re-pressione (premere di nuovo)).

Mi fermo un po'...
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Vecchio 23-04-2007, 23.02.57   #16
griselda
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Si parla di osservare le emozioni. Effettivamente è l'unico modo per sviluppare in seguito un controllo. Solo che per osservare qualcosa devo non essere quel qualcosa, ma semmai averlo. Se "sono arrabbiato" non vedrò la rabbia, se "ho della rabbia" (la sento)potrò vederla. Tra i due stati c'è un'enorme differenza.
Ti ringrazio di esser tornato indietro perchè difatti mi risultava un po' nebuloso. Faccio una domanda:
Se sono arrabbiato intendi quando è già partita la reazione e sto già rispondendo?
Mentre invece se ho la rabbia la sto ancora sentendo salire (sangue alla testa come si suol dire) ma li mi fermo ad ascoltare cosa mi dice questa rabbia e cosa mi ha fatto arrabbiare...è in questo momento che sono distaccato?
(chissà perchè parlo al maschile booooh)
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Vecchio 24-04-2007, 00.31.37   #17
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Chi meglio di te può dire quando sei arrabbiata?
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Vecchio 24-04-2007, 05.25.44   #18
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Ti ringrazio di esser tornato indietro perchè difatti mi risultava un po' nebuloso. Faccio una domanda:
Se sono arrabbiato intendi quando è già partita la reazione e sto già rispondendo?
Mentre invece se ho la rabbia la sto ancora sentendo salire (sangue alla testa come si suol dire) ma li mi fermo ad ascoltare cosa mi dice questa rabbia e cosa mi ha fatto arrabbiare...è in questo momento che sono distaccato?
(chissà perchè parlo al maschile booooh)
Se "sei arrabbiata" allora sei già identificata. La rabbia è salita, si è espansa, ha occupato tutto lo spazio e, con ogni probabilità, l'hai già in parte espressa in qualche modo. A questo punto dobbiamo prima disidentificarci. L'esprimere riduce l'intensità e noi di solito così facciamo... iniziamo a provare a lavorarci dopo che è calata abbastanza. Altro sistema è "andare" in un nucleo di noi che è già preparato per osservare anche se di solito osserva in differita, ricordando come può l'avvenuto.
Questo piccolo nucleo come prima cosa dovrebbe chiudere in uscita, quindi trattenere dall'interno, opporsi all'espansione.

Se poi il non esprimere comprende anche noi stessi e non solo l'esterno, resta solo il presente in cui "andare". Non so se si capisce, ma se non esprimo mi trovo in una situazione per la quale sono caldo dentro e freddo fuori (l'imperturbabilità buddista... uno dei concetti orientali peggio capiti in occidente... l'opposto del fantomatico distacco) e dal presente posso osservare la condizione della macchina perchè non sono essa.

Se invece (la tua seconda ipotesi) sono abbastanza veloce e la becco prima che abbia occupato tutto lo spazio, ovvero ho percezione della bottiglia verde che non è ancora diventata rossa, allora ho due possibilità. O non riesco a fare nulla per fermarla e allora potrò solo osservarla riempirmi ma avrò visto dei meccanismi importanti, oppure riesco a trattenerla prima che occupi tutto e allora si che posso non esprimerla. Se poi divento bravino imparo a fare in tempo ad incanalarla per usarla... fino a trasformarla.
In questo modo imparo pian pianino a provare rabbia senza mai diventare arrabbiato.
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Vecchio 24-04-2007, 05.41.53   #19
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(chissà perchè parlo al maschile booooh)
Non so perchè TU parli al maschile , però questo apre un discorso interessante.

Il meccanismo di sviluppo del controllo delle emozioni lo fa una parte "maschile" di noi (già immagino alcune reazioni "femminili" a questo). Infatti si tratta della parte intellettuale (solare) del centro emozionale, alcuni lo chiamano "re di cuori" che cerca di togliere dominio alla parte femminile emotiva (lunare) dello stesso centro. Finchè siamo sotto il dominio femminile (cosa che vale per maschietti e femminucce, c'entra poco il sesso anagrafico in sta cosa) l'emozione seguirà il percorso dell'espressione esterna e della mancata assunzione di responsabilità verso di essa.

Se ci si pensa un attimo la cosa ha delle implicazioni interessanti. Prima di tutto va notato che il controllo delle emozioni deve essere emotivo. In effetti, se non fosse così, sarebbe sempre troppo lento. Quindi se all'inizio parte dal centro intellettuale poi deve comunicare con la parte inttelletuale del centro emozionale. In effetti è li che si inizia a formare un centro di gravità... un maggiordomo interinale che permetterà al maggiordomo vero pian piano di riorganizzare la casa e prepararla per il padrone.

PS: di questi strani modi di parlare, maggiordomi ecc., chi non avesse familiarità può trovare delle eposizioni in "tradizioni spirituali ed esoteriche/quarta via" e tread connessi.
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Vecchio 24-04-2007, 11.44.40   #20
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Questo spazio d'aria, come accennavo, può anche essere interno alla rossa... infatti se pensiamo un attimo vediamo che una cosa è frenare l'espansione della rossa... altra cosa è comprimerla dopo espansa, che è si un renderla più piccola di dimensioni, ma anche un aumentarne la densità e quindi la temperatura (e si rischia la re-pressione (premere di nuovo)).
Quindi una volta che ha occupato tutto lo spazio della bottiglia verde, o la si esprime facendola uscire e quindi diminuendo di volume oppure la si reprime. Non ci sono altre soluzioni?


Nel momento in cui si riesce a vederla crescere, e quindi a bloccarla prima che occupi tutto lo spazio, li cosa si può fare? Voglio dire anche se non ha occupato tutto lo spazio c'è comunque, quindi bisogna trasformarla per forza di cose, ma come? Pulendo casa??? Porebbe essere una soluzione..
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Vecchio 24-04-2007, 13.52.57   #21
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Se poi il non esprimere comprende anche noi stessi e non solo l'esterno, resta solo il presente in cui "andare". Non so se si capisce, ma se non esprimo mi trovo in una situazione per la quale sono caldo dentro e freddo fuori (l'imperturbabilità buddista... uno dei concetti orientali peggio capiti in occidente... l'opposto del fantomatico distacco) e dal presente posso osservare la condizione della macchina perchè non sono essa.
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Vecchio 24-04-2007, 14.36.20   #22
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La maggior parte di questa sofferenza è inutile. Se io provo rabbia e assumo un atteggiamento non patetico (da patire, subire) so innanzitutto che finirà e inoltre so che posso provare ad usarla. Invece se mi arrabbio per il fatto di provare rabbia (verso me stesso,la persona o la cosa che percepisco come origine) non farò altro che ridondarla, alimentandola indefinitamente.
.
Vorrei portare una piccola esperienza per vedere se collima con quanto detto sopra.
Sono abbastanza pigrotta quindi quando sono partita ero un po' preoccupata sulla mia resistenza: avrei dovuto camminare per 4 gg chi mi è venuta in contro? la rabbia subito dopo essere arrivata a destinazione mi è successo un fatto che ha scatenato in me una rabbia spaventosa...in quel momento avrei : potuto sfogarla sentendomi poi svuotata, avrei potuto rovinarmi la vacanza reprimendola e restando ferma a crogiolarmi in essa, ma ho scelto la terza ho usato l'energia che mi è sgorgata dentro per camminare come uno che fa la marcia longa concentrata su me stessa e godendomi quello che stavo facendo, risultato non ero mai stanca e mi sono divertita. Bon non so se sono riuscita a far comprendere bene senza entrare nei particolari.
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Vecchio 24-04-2007, 16.58.22   #23
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Si parla di osservare le emozioni. Effettivamente è l'unico modo per sviluppare in seguito un controllo. Solo che per osservare qualcosa devo non essere quel qualcosa, ma semmai averlo. Se "sono arrabbiato" non vedrò la rabbia, se "ho della rabbia" (la sento)potrò vederla. Tra i due stati c'è un'enorme differenza.

L'emozione non gestita (come altre manifestazioni interiori come il chiacchericcio mentale) si comporta come un gas... ovvero tende ad espandersi, ad occupare tutto lo spazio disponibile. Nel farlo, nel dilatarsi, riduce la sua densità, dandoci un minimo di sollievo... sollievo che paghiamo con l'identificazione.
Quando la rabbia sorge, se non trova freni, essa "sale" e si espande fino ad occuparci tutti e da emozoine diventa stato d'animo... da "ho rabbia" passiamo in un lampo a "sono arrabbiato". Se, a questo punto, continua a non trovare freni, inizia ad uscire tramite espressione. Nel meccanico la cosa è un tutt'uno... in un attimo si passa dalla rabbia che sorge a io che reagisco esprimendola.

Per poter osservare la rabbia devo mettermi in un punto di osservazione in cui la rabbia non c'è... mi serve uno spazio, anche minimo, "vuoto di rabbia". La rabbia non deve occupare tutto lo spazio "me stesso". Questo spazio può essere anche interno (dico così perchè spesso si sente dire "entrare nell'emozione").

..
Faccio un passo indietro.. La rabbia non deve occupare tutto me stesso.. ma devo poter avere lo spazio per poterla osservare... pero', prima di tutto questo, la rabbia bisogna conoscerla, sperimentarla.. provo a spiegarmi:
E' vero che l'istinto, quando mi arrabbio è quello di sfogarla, pero' ci sono casi in cui, invece che sfogarla la reprimo, ecco questo era il mio status.. ogni volta che mi arrabbiavo, invece che sfogarla la reprimevo, e poi sfogava in altra maniera (stati ansiosi), perchè da qualche parte deve pur uscire, se non do una valvola di sfogo il corpo se la prende.
Per riuscire ad esprimere la rabbia, ho dovuto forzare su di me.. e poi quando ho imparato a buttarla fuori , mi sono resa conto di cosa tenevo dentro , perchè se lasci uscire la rabbia dopo che ti ha sommerso, fa un "botto"...
Ho visto cosa ero capace di fare. E credo che questo mi sia stato molto utile, per riuscire poi a trattenerla e ad usarla diversamente , a fare sì che non mi sommergesse (e non sempre ci riesco, nemmeno ora).. ma prima ho dovuto conoscerla.. quindi, non penso che sia sempre sbagliato, esprimere le emozioni, almeno fintanto che ci sommergono e fintanto che non conosciamo quello che provocano in noi;
osservare l'emozione dovrebbe essere il passo prima che diventi stato d'animo.. prima che l'emozione mi sommerga, se riesco ad "acchiapparla" , a quel punto posso darle una direzione diversa dall'esterno (il tizio o la cosa che mi suscita l'emozione)
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Vecchio 24-04-2007, 23.43.29   #24
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Si parla di non indentificarsi con le emozioni negative, altrimenti non potrei vederle (un occhio non vede se stesso...)
L'opposizione che devo fare quindi serve per poterne prendere coscienza...
Se non mi opponessi ad esempio al mio vizio di mangiarmi le unghie, facile che non me ne accorgerei mai, e mi troverei a mangiarmele mentre parlo con qualcuno, senza saperlo e in maniera del tutto automatica... Solo quando nella mia coscienza insorge un opposizione, un "no", ecco che mi disidentifico e posso vederlo --> "Mi mangio le unghie ma NON voglio farlo, ecco che vedo quando me le mangio."

A questo punto a mio avviso, quando si è coscienti di cosa si sta facendo, non è necessario non esprimere... anzi, esprimere emozioni serve a farmele conoscere meglio (sempre che io sia cosciente di cosa sto facendo però...).
La prima tappa di qualsiasi scienza è l'osservazione.

Se dovessi fare una scaletta restando nell'esempio direi cosi:
mi mangio le unghie in maniera totalmente meccanica e incosciente. Non posso controllare tale dinamica perchè non mi oppongo ad essa coscientemente. Poi, apportando un "no" a questo vizio, è come se scattassi un istantanea, una foto che fissa un'immagine. A questo punto mi disidentifico e posso vedere... Ora che sono cosciente che mi sto mangiando le unghie, posso continuare a farlo per osservare così il meccanismo, conoscerlo, e magari in seguito controllarlo...

PS: Ho volutamente usato come esempio un vizio come quello di mangiarsi le unghie perchè al di là delle emozioni negative (o presunte tali) credo che questo valga per qualsiasi tipo di meccanismo inconscio che ci domina, da cui veniamo usati e che dunque non possiamo controllare...
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Vecchio 25-04-2007, 03.45.36   #25
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Faccio un passo indietro.. La rabbia non deve occupare tutto me stesso.. ma devo poter avere lo spazio per poterla osservare... pero', prima di tutto questo, la rabbia bisogna conoscerla, sperimentarla.. provo a spiegarmi:
E' vero che l'istinto, quando mi arrabbio è quello di sfogarla, pero' ci sono casi in cui, invece che sfogarla la reprimo, ecco questo era il mio status.. ogni volta che mi arrabbiavo, invece che sfogarla la reprimevo, e poi sfogava in altra maniera (stati ansiosi), perchè da qualche parte deve pur uscire, se non do una valvola di sfogo il corpo se la prende.
Per riuscire ad esprimere la rabbia, ho dovuto forzare su di me.. e poi quando ho imparato a buttarla fuori , mi sono resa conto di cosa tenevo dentro , perchè se lasci uscire la rabbia dopo che ti ha sommerso, fa un "botto"...
Ho visto cosa ero capace di fare. E credo che questo mi sia stato molto utile, per riuscire poi a trattenerla e ad usarla diversamente , a fare sì che non mi sommergesse (e non sempre ci riesco, nemmeno ora).. ma prima ho dovuto conoscerla.. quindi, non penso che sia sempre sbagliato, esprimere le emozioni, almeno fintanto che ci sommergono e fintanto che non conosciamo quello che provocano in noi;
osservare l'emozione dovrebbe essere il passo prima che diventi stato d'animo.. prima che l'emozione mi sommerga, se riesco ad "acchiapparla" , a quel punto posso darle una direzione diversa dall'esterno (il tizio o la cosa che mi suscita l'emozione)

Concordo con quanto ha risposto Kael. Specifico solo che, nel caso che riporti, l'esprimere è si indispensabile di primo acchito, ma per opporsi ad un meccanismo diverso dall'esprimere automatico, ovvero quello di reprimere. Mentre il non esprimere si oppone a quello di esperimere inconsapevole.

E' chiaro che se mi trovo nella condizione in cui reprimo le emozioni devo prima imparare a non farlo. Infatti se le reprimo non so di averle. Se tu reprimevi la rabbia non sapevi di averla, eri infatti convinta di avere stati emotivi altri, come l'ansia, che erano la conseguenza della repressione.

Dico anche che, quando hai iniziato ad esprimere la rabbia, non osservavi la rabbia ma te che eri arrabbiata e la esprimevi. Solo dopo, quando hai iniziato a trattenerla hai potuto vederla davvero (è una sottogliezza che non so dire meglio adesso, ma penso che hai capito, dato che è tua esperienza).

Inoltre ricordiamoci che qui stiamo parlando di sofferenza e non di rabbia e forse dobbiamo specificare meglio alcune cose.
Quando reprimevi la sofferenza era data dall'ansia e non dalla rabbia, ma quella sofferenza non poteva essere trasformata dato che era illusoria... hai dovuto prima far venir fuori la rabbia. Quando ha iniziato ad uscire immagino tu ti sia resa conto di questo.

Provo a specificare ancora meglio. Sopra ho detto che la magior parte della sofferenza è illusoria. Illusorio non significa che non esiste, semmai che non è reale, esiste ma è inutile. Ma io percepisco, percepisco eccome. E' come la classica oasi del deserto... la vedo, sono convinto che ci sia, ma non posso dissetarmi perchè è illusoria.
Il paragone regge anche se avanziamo nel discorso. L'oasi è l'immagine di un oasi che è da un'altra parte... una proiezione. Come l'ansia che lo è della rabbia. Devo arrivare all'oasi vera per bere.
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